Il design nordico ha avuto un’importanza e un impatto culturale notevole in tutta Europa a partire dal secondo dopoguerra con la sua idea di funzionalismo.
Di Caterina Frittelli
Nell’immaginario collettivo, specialmente dei non addetti ai lavori, l’architettura e il design scandinavi sono legati a un’idea di minimalismo e funzionalismo asettico, di ambienti e arredi caratterizzati da pochi colori e da un’abbondanza di legno. Alcune di queste peculiarità rispecchiano l’essenza del design nordico, ma ridurlo a questi semplici concetti non solo sminuisce la sua complessità ma sottovaluta l’importanza e l’impatto culturale che ha avuto dal secondo dopoguerra in tutta Europa.
I principi fondanti dell’architettura scandinava, chiamata New Empiricism, sono il rinnovato interesse per l’uomo e le sue abitudini, le sue necessità e i suoi bisogni psicologici, in opposizione all’eccessivo schematismo e al rigido formalismo dell’architettura razionalista degli anni Trenta. In questa nuova corrente – che ha recuperato i valori tradizionali e si è distinta per una progressiva umanizzazione del Movimento Moderno – la sensibilità verso il contesto, l’attenzione per la qualità dei materiali, il recupero dell’interesse per l’architettura domestica – intesa come luogo dell’abitare in cui l’uomo possa vivere comodo e circondato dalla natura – sono divenuti i principi cardine, prendendo le distanze dai canoni standardizzati dell’architettura e dal design degli anni precedenti. Proprio nei Paesi in cui il clima è rigido e le ore di luce scarseggiano, dove lo spazio esterno non è accogliente per l’uomo che lo abita, l’attenzione maggiore si rivolge allo spazio interno, all’importanza del comfort, dato dal calore dei materiali e dell’ambiente, dai colori e dalla corretta illuminazione, dal benessere a 360°.
Architetti come Alvar Aalto, Arne Jacobsen, Verner Panton, Hans J. Wegner, non solo hanno influenzato il concetto di architettura moderna, ma hanno dato centralità all’uomo e alla qualità dell’abitare, ponendo sempre più l’attenzione alla cura dell’interior design, fatto di spazi e oggetti che ci circondano nella vita quotidiana. Uno dei valori fondamentali degli architetti che hanno caratterizzato il modernismo scandinavo è quello di considerare il progetto di un edificio come un’opera totale, che riguardi non solo la composizione e l’aspetto esteriore della struttura ma anche lo spazio interno, compresi gli arredi e gli accessori – come gli apparecchi luminosi, i mobili e i complementi.
Alvar Aalto (1898-1976) architetto e designer finlandese tra le figure più importanti nell’architettura del XX secolo, nel progetto del Sanatorio di Paimio (1929-1933), pose la massima attenzione non solo al benessere psicofisico dei fruitori dell’ospedale – orientando l’edificio e i balconi in modo da massimizzare i vantaggi dell’esposizione solare e dell’elioterapia – ma anche all’ergonomia, disegnando insieme alla collega e moglie Aino gli arredi in legno, tra cui la celebre Poltrona 41 – ancora prodotta da Artek, azienda che i due fondarono nel 1935. La cura per i dettagli e il comfort abitativo fu tale che Aalto per Paimio realizzò dei lavabi per le stanze di degenza dalla sagoma particolare, in modo che il rumore causato dall’acqua che scorreva non disturbasse gli altri malati, e progettò i parapetti delle finestre facendo sì che avessero un’altezza tale da permettere ai pazienti di godere del panorama e del verde circostante anche dai propri letti. Aalto privilegiò il legno per gli arredi, in sostituzione del più rivoluzionario acciaio cromato, perché più adatto, dal punto di vista termico, al contatto con la pelle umana e più gradevole sotto l’aspetto acustico, rispetto al metallo. Dettagli che dichiarano il fine ultimo dei progetti di Aalto: l’uomo reale, non uno standard, come utente finale per l’architettura e il disegno industriale. Alvar e Aino lavorarono insieme fino al 1949 (anno di morte della donna) disegnando un’icona dopo l’altra, tra cui lo Sgabello 60 (1932) e la Sedia 69 (1935) – entrambe per Artek, in legno curvato di betulla – e la serie di vasi curvati in vetro per Iittala (1935), oggetti senza tempo e dall’estetica raffinata.
Arne Jacobsen (1902-1971), considerato il maestro del Modernismo danese, si formò alla Scuola di Architettura della Royal Danish Academy of Fine Arts, pose le basi del suo stile architettonico negli anni Trenta, ma ben presto si allontanò dai caratteri dell’International Style per intraprendere la strada di un’architettura di moderazione formale, contraddistinta da linee pulite e forme sobrie unite a un’eleganza materiale ispirata alla purezza dell’architettura tradizionale danese e alla lavorazione artigianale classica applicata al design.
Rieditata dall’azienda danese &tradition, la collezione di lampade Bellevue – con il loro caratteristico collo di cigno snello e una forma scultorea, – riflette la purezza di Jacobsen e il suo senso delle proporzioni, che riteneva essere il fattore fondamentale nel design. Originariamente lanciate nel 1929, le lampade si ispiravano al Bauhaus e segnano l’alba del minimalismo scandinavo. In uno dei suoi progetti più celebri, il SAS Royal Hotel di Copenhagen (1958-1960), Jacobsen (oltre all’edificio) curò il disegno di ogni dettaglio, dai mobili – come le sue eleganti sedie Drop™ e Egg™ – all’illuminazione – come la collezione di lampade AJ, prodotte da Louis Poulsen –, passando per i tessuti, i posacenere e le posate.
Tra gli architetti e designer più prolifici e creativi non possiamo non citare Hans J. Wegner (1914-2007), spesso definito il maestro della sedia per l’ideazione nel corso della sua lunga carriera di quasi 500 sedie, alcune delle quali prodotte da Carl Hansen – come la Wishbone Chair CH24 (1949), e la Lounge Chair CH25 (1950) – e riconosciute come veri capolavori ancora in produzione dopo più di 70 anni. Per Wegner una sedia non era solo un pezzo di arredamento, ma un’opera d’arte creata per sostenere la forma umana.
Insieme con Børge Mogensen (1914-1972) – designer danese famoso per l’attenzione all’accessibilità dei suoi prodotti, progettati per durare nel tempo con materiali solidi tipici dell’artigianato nordico – appartengono alla generazione che ha dato vita a quella che oggi è definita la Golden Age del design danese moderno. Di Mogensen ancora oggi ricordiamo, tra le tante, la celebre Spanish Chair (1958) – prodotta da Fredericia, in legno massello di rovere e cuoio da selle di altissima qualità – e le sedie J41 e J42, oggi rieditate dall’azienda Hay.
Qualche anno più tardi, uno dei più prodigiosi allievi di Jacobsen, Verner Panton (1926-1998) – che lavorò con il maestro al progetto della famosa sedia Ant™ (1952) – rivoluzionò l’idea di design nordico quando negli anni Sessanta progettò gli interni sorprendentemente colorati e anticonformisti dell’Astoria Hotel di Trondheim in Norvegia – per il quale disegnò le lampade Topan (1960), prodotte oggi da &tradition e le poltroncine Cone e Heart Cone (1959), prodotte da Vitra. La sua vastissima e complessa produzione predilige le forme essenziali unita a una straordinaria sensibilità per il colore e una forte espressione grafica resa possibile dai materiali di nuova concezione per l’epoca, come la plastica e il poliuretano. Una delle sue sedie più famose (tutte progettate rifiutando l’idea delle canoniche quattro gambe) è certamente la Panton Chair (1958-1968), sempre prodotta da Vitra: dalla sagoma ergonomica, che segue le linee del corpo umano, è la perfetta fusione tra l’idea del design antropocentrico tipico del movimento Moderno scandinavo e lo stile pop e colo-rato degli anni Sessanta e Settanta. È sua la celebre lampada Flowerpot (1968) – disegnata per la nuova sede dell’editore Spiegel ad Amburgo e prodotta in un’ampia collezione da &tradition in moltissime nuances – che divenne un’icona del movimento “Flower Power” e che fin da subito affascinò per i suoi colori vividi e brillanti e per le sue forme arrotondate. Incredibilmente visionari e provocatori furono i suoi progetti di interni e allestimenti: stupirono per l’idea totalizzante del colore e delle conseguenze “emozionali” sull’uomo; furono vere e proprie esperienze immersive con un concetto tridimensionale dell’uso dello spazio e un continuo stimolo a osare con i colori degli ambienti.
Nei progetti di Panton ogni singolo dettaglio fu da lui pensato ed elaborato in modo che tutto, dal pavimento al soffitto e alle pareti, fosse rivestito da colori vivaci, forme fluide e invenzioni visionarie – come la Spiegel Lamp, prodotta da Verpan o il mobile-scultura Living Tower di Vitra.
Designer scandinavi contemporanei, invece, come Space Copenhagen, GamFratesi e i norvegesi Anderssen & Voll, nei loro progetti di interni e nei prodotti da loro disegnati, recuperano la tradizione modernista nordica, declinandola in chiave contemporanea e innovativa. Alcuni dei loro prodotti più celebri – come i divanetti Loafer (disegnati per dialogare con gli arredi di Jacobsen nel progetto di rinnovo degli interni del SAS Royal Hotel) o la collezione di lampade Copenhagen, entrambi per &tradition, della coppia di designer Space Copenhagen – manifestano l’ambizione di creare un nuovo stile unendo classico e moderno, industriale ed elegante, scultoreo e minimale, in un contrasto fresco e raffinato capace di far nascere nuove icone senza tempo. Come la collezione di sedie Pavilion (&tradition) e il divano Rest, per Muuto, di Anderssen & Voll, prodotti dalla chiara impronta retrò che nel loro design uniscono materiali ed essenzialità contemporanea a nuove interpretazioni di forme e linee del passato.