Una serie di interviste in cui esploriamo la vita degli architetti, le loro influenze e le scelte progettuali che definiscono il loro stile. Durante gli incontri, indaghiamo come questi professionisti interpretano il ruolo dell'architettura nella società contemporanea.
In conversazione con Filippo Santoni
Nel cuore vibrante di Zurigo, uno studio di architettura si distingue per la sua visione innovativa e per la centralità dell’individuo. A guidarlo è l’architetto fiorentino Filippo Santoni che, insieme alla sua compagna Serena Santini, condivide una missione chiara: rendere l'architettura uno strumento per migliorare la vita quotidiana e progettare gli spazi abitativi con soluzioni inclusive e collaborative. Convinti che ogni progetto debba prendere vita dalle persone, i due dedicano il loro lavoro alla creazione di ambienti che riflettano la complessità della ricerca contemporanea e il potenziale trasformativo dell’urbanistica. Grazie a una continua esplorazione dei bisogni sociali, il loro studio è diventato un punto di riferimento per chi considera l'architettura non solo una disciplina tecnica, ma un impegno culturale e sociale.
Quali sono le tue principali passioni al di fuori dell’architettura, e come influenzano il tuo approccio progettuale?
"Amo passare del tempo con gli amici, andare a un concerto, passeggiare e nuotare al fiume. Sono una persona molto curiosa e questa mia caratteristica mi porta sempre a scoprire, indagare cose nuove.
Il viaggio è una componente fondamentale del mio bagaglio culturale e di esperienze."
Il viaggio è una componente fondamentale del mio bagaglio culturale e di esperienze."
C’è un’opera o una città che ha lasciato un segno particolare su di te?
"Se penso a un momento significativo nella mia vita, penso a un pomeriggio piovoso a Firenze in cui ho deciso di visitare una mostra all'Ospedale degli Innocenti. Mi colpì una poltrona disegnata da Mies van der Rohe, architetto simbolo del razionalismo e del Bauhaus. Provai un’emozione intensa e da quel momento capii che l’architettura sarebbe stata il mio percorso."
Zurigo e Firenze hanno culture architettoniche diverse: quale aspetto culturale di Firenze porteresti a Zurigo, e viceversa?
"Zurigo è sinonimo di praticità, funzionalità e pragmatismo. Se chiedi un servizio, lo ottieni ben fatto, funzionale e impeccabile.
Firenze, invece, per me rappresenta l’umanismo, le persone al centro della città e un’intensa vita sociale, caratteristica dell’Italia in generale. Firenze e Zurigo per me si bilanciano a vicenda, porterei a Firenze del pragmatismo zurighese e a Zurigo dell’umanismo, tipico fiorentino e della nostra cultura."
Firenze, invece, per me rappresenta l’umanismo, le persone al centro della città e un’intensa vita sociale, caratteristica dell’Italia in generale. Firenze e Zurigo per me si bilanciano a vicenda, porterei a Firenze del pragmatismo zurighese e a Zurigo dell’umanismo, tipico fiorentino e della nostra cultura."
Hai artisti, musicisti, film o libri che consideri fonte d’ispirazione? Come alimentano il tuo processo creativo?
"Non ho un’unica dottrina e un’unica fonte di ispirazione; preferisco trarre riferimenti da diverse fonti e culture, la più grande ricchezza che possiamo avere e condividere. Mi piace apprendere dalle persone e dalle loro storie, dalle esperienze che ho, ho avuto e che hanno vissuto.
Leggo articoli di Umberto Galimberti e guardo film neorealisti di De Sica e Fellini, che ammiro per la grande capacità visionaria.
La musica, poi, è una passione fondamentale, è una valvola di sfogo. Ultimamente trovo più facile ascoltare musica elettronica o house, ma resto molto legato ai The Libertines, ai The Strokes e ai The Smashing Pumpkins. Quanto al mondo dell’arte, il primo di tanti che mi viene in mente è Jean-Michel Basquiat, che racconta una visione della metropoli, della stratificazione culturale e della complessità dell'individuo contemporaneo, in un’epoca eterogenea che mi affascina molto."
Leggo articoli di Umberto Galimberti e guardo film neorealisti di De Sica e Fellini, che ammiro per la grande capacità visionaria.
La musica, poi, è una passione fondamentale, è una valvola di sfogo. Ultimamente trovo più facile ascoltare musica elettronica o house, ma resto molto legato ai The Libertines, ai The Strokes e ai The Smashing Pumpkins. Quanto al mondo dell’arte, il primo di tanti che mi viene in mente è Jean-Michel Basquiat, che racconta una visione della metropoli, della stratificazione culturale e della complessità dell'individuo contemporaneo, in un’epoca eterogenea che mi affascina molto."
Lavori con la tua compagna: come vi sostenete e mantenete un equilibrio tra vita privata e professionale? Avete progetti al di fuori della vita lavorativa che rappresentano chi siete?
"Lavorare con Serena è una cosa spontanea. Condividiamo la passione per l’architettura e la visione di questa disciplina come uno strumento per plasmare la vita che viviamo. Avere un obiettivo comune e lavorare insieme per realizzarlo ci appaga profondamente. Ciò che ci rappresenta oltre il lavoro, non è un oggetto o un progetto, ma un momento: un bagno al mare, circondati dal paesaggio mediterraneo. È un’azione semplice, ma che riflette le nostre passioni e il nostro modo di vivere insieme."
Se dovessi immaginare uno spazio ideale dedicato solo a te, cosa includerebbe per rappresentarti pienamente?
"Non immagino uno spazio esclusivo, ma piuttosto uno spazio inclusivo. Immagino un luogo infinito, con un orizzonte ampio, dove i pensieri e gli sguardi possono viaggiare. Un luogo dove le persone riescono a vivere bene i propri spazi, apprezzando le piccole cose, all’interno di una grande piattaforma che ci ospita tutti. Sarebbe un luogo in cui ognuno ha la libertà di ritagliarsi il proprio angolo per stare bene, pur facendo parte di un tutto più grande."