Fondato a Firenze da Filippo Weber lo studio Weber Architects coniuga rigore tecnico e sensibilità progettuale, ponendo la sostenibilità al centro della propria azione. Dopo la laurea in Ingegneria Edile-Architettura e un master in Environmental Design presso la Architectural Association di Londra, Weber dà forma a un percorso avviato oltre dieci anni prima, maturato attraverso esperienze professionali in contesti nazionali e internazionali.
Alla base della filosofia dello studio, il claim “We build responsibly” sintetizza un impegno progettuale concreto: ogni intervento è pensato per generare benessere, ridurre l’impatto ambientale e rispondere alle esigenze contemporanee dell’abitare e del costruire. Attenzione ai consumi energetici, qualità dell’aria, luce naturale e materiali ecocompatibili sono i parametri guida di ogni processo.
Con un team di dieci professionisti, Weber Architects opera su scala nazionale, affrontando progetti di diversa natura e complessità. Tra gli interventi più rilevanti: il Nuovo Ecodistretto Bertalia - Lazzaretto di Bologna, l'Ex Manifattura tabacchi di Torino, la terza torre della Regione Toscana a Firenze. Accanto a questi, lo studio sviluppa anche progetti residenziali su misura, come ville e attici, mantenendo sempre un approccio integrato che fonde visione architettonica, competenza tecnica e approccio sostenibile.
Ex Manifattura Tabacchi - Torino
Un dialogo costante con committenti, enti pubblici e partner di progetto consente allo studio di dar forma a soluzioni di qualità, responsabili e durature, capaci di rispondere con coerenza alle sfide dell’architettura contemporanea.
Quali sono le passioni che ti accompagnano nella vita di tutti i giorni e in che modo influenzano il tuo modo di progettare?
"L’attenzione che questo studio ha per i progetti a basso impatto ambientale nasce proprio dalla mia passione verso la natura a 360°. La mia più grande passione, che pratico nel tempo libero, è la vela, quindi il mare. Evidentemente l'idea di poter cercare con la mia professione di ridurre quello che è l'impatto sugli ecosistemi in senso ampio, è qualcosa che mi affascina molto. Durante uno degli ultimi viaggi che ho fatto, in Argentina e Cile, ho visto con i miei occhi i più grandi ghiacciai del mondo che si scioglievano e ho pensato che probabilmente i miei figli non li vedranno quando saranno adulti. Quello del cambiamento climatico è un tema che ci preoccupa e che ci guida nella professione di tutti i giorni. Quando nel nostro lavoro parliamo di sostenibilità lo facciamo perché riteniamo che sia un'urgenza dell'architettura del nostro tempo. Se i romani hanno inventato l’arco e hanno potuto realizzare gli acquedotti, se nell’Ottocento l’introduzione dell’acciaio nel mondo delle costruzioni ha permesso di realizzare le serre e le grandi stazioni, mentre il cemento armato ha permesso a Mies Van Der Rohe e Le Corbusier di creare l’open space, oggi noi dobbiamo progettare per rispondere all’emergenza climatica e come architetti possiamo farlo ed è ciò che cerchiamo di fare. "
Ecodistretto Bertalia - Lazzaretto, Bologna
Hai parlato di viaggi, dunque ti chiedo: c’è un luogo che ti ha particolarmente ispirato nel tuo percorso di architetto? Inoltre, da architetto ad architetto ti chiedo anche: esiste un dettaglio, un materiale o una soluzione architettonica scoperta in viaggio che hai poi utilizzato o reinterpretato in un tuo progetto?
"Il bello di viaggiare è quello di poter scoprire innanzitutto architetture contemporanee bellissime, che siamo abituati a vedere nelle riviste, e avere la possibilità di rivederle dal vero, capirle e accorgersi che spesso sono diverse da come le abbiamo idealizzate attraverso la loro rappresentazione fotografica. Tuttavia ritengo che la parte più interessante del viaggio sia la comprensione delle diversità, dei luoghi e delle culture. Per la mia professione in particolar modo è interessante scoprire come i vari popoli e le varie regioni del mondo hanno risposto nel tempo, in modo molto intelligente, alle specificità dei loro luoghi e del loro clima. Ogni viaggio diventa quindi un’occasione per approfondire la necessità di fare architetture che comprendano il contesto, a volte reinterpretando anche elementi del passato, sempre in chiave contemporanea, per dare una risposta specifica e non globale all'architettura.
Noi lavoriamo principalmente in Italia, ma un progetto che facciamo nel Sud Italia non può essere uguale a un progetto che facciamo a Firenze, né al Nord. Le specificità del clima e dei luoghi sono molto differenti e di conseguenza diverse devono essere le soluzioni progettuali: diverse le aperture, diverso il modo di raffrescare naturalmente, diverso il modo di riscaldare, se necessario, ma in modo più naturale possibile. Ad esempio, molte architetture della fascia subtropicale, in qualche modo sono architetture senza pareti, perché è la ventilazione che passa attraverso i muri a donare comfort agli ambienti. In conclusione, diciamo che in ogni viaggio raccolgo un pezzetto di conoscenza e costruisco questo puzzle di informazioni e di sensibilità per affrontare ogni volta progetti diversi, che significa in definitiva capire come interagire con l'ambiente esterno per creare un ambiente interno confortevole."
Villa - Punta Ala
Restando su interessi collaterali alla professione, c’è un libro – non necessariamente di architettura – che ha influenzato il tuo modo di vedere il mondo?
"Non c’è un libro che mi abbia influenzato così tanto, ma posso dire che “The fountainhead” di Ayn Rand è stato un libro che mi ha appassionato tanto e che mi ha accompagnato nei primi anni della professione. Narra la storia di questo architetto visionario, magari all'inizio non completamente compreso, che però ha un fuoco dentro non soltanto verso la sua amata, ma anche verso l'architettura, che lo spinge a diventare poi un architetto di grido. Evidentemente il fatto che si confondesse anche con una storia d'amore nel mio periodo giovanile sicuramente ha fatto sì che lo apprezzassi maggiormente. Senz’altro rispecchiava un momento della mia vita personale e professionale."
Quale pensi sia la più grande sfida per un architetto oggi?
"Ritengo che noi stiamo impostando e costruendo, su ogni progetto, un modo di rispondere diversamente al progetto architettonico. Per quanto le forme dell’architettura stiano cambiando — con la progettazione parametica, il computation design e le nuove tecniche costruttive — ritengo che costruiamo e progettiamo ancora con un mindset di inizio Novecento, vecchio di cento anni.
Oggi dobbiamo progettare secondo un concetto diverso di architettura che non è solamente un concetto estetico, ma un concetto tecnico-funzionale, un concetto prestazionale, ed è questa necessità che noi cerchiamo di utilizzare come driver per generare nuovi concept di architettura. Non vediamo in questo un limite alla progettazione ma uno strumento di creatività.
Ad esempio, stiamo riscoprendo che il sole può essere una guida per il progetto dell'architettura e dei suoi spazi interni, allo stesso modo il vento, mentre la pelle dell'edificio è un elemento transitorio che non definisce soltanto l'interno, ma definisce anche l'esterno e quindi il microclima degli spazi esterni. È così che il processo progettuale si arricchisce di elementi e a nostro avviso genera architetture molto meno autoreferenziali di molte altre che si vedono oggi.
Attico - Firenze
Oggi si parla spesso di rigenerazione urbana ma si fanno progetti che sono sempre ancora molto autoreferenziali, mentre per noi è assolutamente fondamentale che il progetto abbia un impatto anche sul piano sociale, come nel caso del progetto di Bologna per il social housing e la creazione di una comunità. Ritengo che un edificio oggi debba dare un valore aggiunto anche all'ambiente circostante ed è per noi un motivo di forte ricerca e uno spazio di creatività."
Ecodistretto Bertalia - Lazzaretto, Bologna
Firenze è una città di grande tradizione artistica e architettonica: qual è un luogo meno conosciuto al grande pubblico che consiglieresti di visitare? Oppure, se dovessi raccontare Firenze attraverso un edificio o un angolo nascosto, quale sarebbe e perché?
"Sono appena tornato da tre giorni a Venezia per il forum di The Plan dal titolo “Perspective”, dove si trattavano temi di economia circolare e, tra le altre cose, degli spazi ibridi. Ritengo che a Firenze più che un edificio, sia proprio la struttura stessa della città ad avere un valore fondamentale. Quello che nelle sue espansioni più moderne si è completamente dimenticato è proprio la creazione di spazi ibridi negli spazi pubblici. Tutti i palazzi dei Medici al piano terra erano degli spazi di incontro, dunque degli spazi pubblici, che in alcuni momenti venivano certamente chiusi, ma erano comunque spazi per la città.
Sala bianca, Palazzo Pitti - Firenze
Lo stesso Ponte Vecchio era un ponte che collegava due sponde della città, ma era anche uno spazio di commercio, quindi il valore della città di Firenze, modellato a partire dai Medici, è stato quello di creare una città per i fiorentini nelle sue varie parti.
Oggi purtroppo non è più così, ma è comunque un modello a cui guardare per progettare la città del futuro e gli edifici del futuro, che sono pezzi di città.
Dobbiamo pensare ai cittadini, a come si muovono, possibilmente a piedi o in bicicletta, e Firenze è potenzialmente la città dei “10 minuti a piedi”. In questo risiede la ricchezza della nostra città: formata da tantissimi edifici, tantissimi angoli interessanti ma è proprio nella conformazione stessa della città che si crea quella ricchezza che fa di Firenze un luogo conosciuto in tutto il mondo."